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Riflessioni dopo il convegno di Motore Sanità e Diabete Italia.
Tra le fragilità che la pandemia ha messo in evidenza è emersa anche quella della presa in carico dei pazienti affetti da diabete da parte dei medici di medicina generale, attori importanti del processo di cura, ma, come è stato messo in evidenza in un convegno online organizzato da Motore Sanità e da Diabete Italia onlus, che si trovano ad avere “le armi spuntate”.
Ne abbiamo parlato con Stefano Nervo, presidente di Diabete Italia. “In linea di principio – ha detto ad askanews – il diabete di tipo 2 ben compensato, ossia che non presenta particolari difficoltà o complicanze può essere gestito dal medico di famiglia, altrimenti occorre andare dallo specialista. Il problema è che il medico di famiglia ha le armi spuntate. E queste armi spuntate sono tutti i farmaci che devono sottostare ai piani terapeutici; i piani terapeutici non possono essere redatti dai medici di famiglia, ma dagli specialisti. Questo comporta che il medico di famiglia può usare solo pochi farmaci”.In sostanza, per il medico di famiglia non è possibile prescrivere farmaci innovativi, e questo depotenzia le possibilità di cura, creando al tempo stesso una maggiore pressione sui centri specialistici. Altri temi importanti riguardano l’organizzazione della cura del diabete, spesso diversa a livello regionale, e la gestione continua del paziente. Su questi aspetti abbiamo interpellato Gerardo Medea, responsabile della Ricerca e componente della Giunta esecutiva della Società Italiana di Medicina Generale. “Una buona organizzazione – ci ha spiegato – sia dal punto di vista della struttura ambulatoriale, sia dal punto di vista della comunicazione con il paziente può aiutare molto a ben inquadrare il soggetto e a coinvolgerlo in un buon follow-up”.Perché la cura del diabete è qualcosa che va portata avanti ogni giorno, da parte del paziente stesso, affiancato dalla struttura sanitaria, che, hanno auspicato i partecipanti all’evento di Motore Sanità, dovrebbe essere il più possibile vicina e flessibile. “Chi vive con il diabete – ha aggiunto Stefano Nervo – vive con una parte della propria testa sempre fissata lì. Se lo fa con cognizione di causa vive bene, se non ha le armi per farlo in autonomia rischia di non vivere bene”.Le “armi spuntate”, poi, possono produrre anche altri effetti collaterali, come la perdita di competenze per il medico di famiglia. “E’ evidente – ha concluso Gerardo Medea – che se al medico di medicina generale non viene consentita la prescrizione di alcuni farmaci, peraltro importanti, territoriali, determinanti per il buon compenso e il controllo dei fattori di rischio, si perde un certo grado di competenza e di conoscenza” Insomma, come è stato detto nel convegno, spesso il medico di medicina generale di fronte alla cura dei pazienti diabetici somiglia a “un pugile che combatte con le mani legate”, una condizione che, per il bene di tutti, si chiede che venga al più presto sanata.
Fonte: Askanews.it
Ecco la nuova frontiera contro le malattie (oggi) incurabili.
Il 2030 sarà l’anno domini della medicina che curerà i nostri figli e nipoti. Entro il prossimo decennio infatti oltre 350 mila persone malate, con un incremento di 50 mila ogni anno, saranno curate con alcune delle 16 mila Terapie Avanzate attualmente in sperimentazione. Un progresso solo apparentemente silenzioso, ma inarrestabile, su cui sono già impegnate oltre 450 aziende nel mondo sullo sviluppo delle terapie geniche (appartenenti alla più ampia categoria delle terapie avanzate dove le aziende coinvolte sono 900). Sarà una rivoluzione per il malato e per la società. La vera nuova frontiera della medicina che oggi spazia dalle malattie genetiche e, in particolar modo quelle rare, al cancro, passando per le malattie autoimmuni e le malattie infettive.
Queste nuove tecnologie nascono dall’idea di usare i geni, alla base del funzionamento delle cellule, come se fossero minuscoli pezzi di ricambio capaci di sostituire le parti difettose. Grazie a questi si possono ristabilire, correggere o modificare le funzioni fisiologiche compromesse nei malati. I costi iniziali per i sistemi sanitari dovranno essere gestiti nell’ambito della sostenibilità, adeguando gli strumenti di contabilità nazionale ed europea che oggi qualifica tutta la spesa farmaceutica come un ‘costo’ e non tiene conto che, grazie al progresso tecnologico, in alcuni casi sono presenti evidenti elementi di ‘investimento’: sono one shot, e producono benefici immediati e duraturi nel tempo. Ciò consentirebbe di compensare contabilmente la spesa annuale con il risparmio per il SSN generato dalla terapia, garantendone così l’accesso a un numero più elevato di pazienti potenzialmente eleggibili.Attualità e strategie per affrontare il tema della sostenibilità delle cure del futuro è il tema del convegno digitale “Terapia Avanzate: come arrivare ad un cambio di paradigma sostenibile” organizzato da FortuneItalia con l’Intergruppo Parlamentare Scienza e Salute, CittadinanzAttiva e l’associazione #VITA (Valore e Innovazione delle Terapie Avanzate) composta da aziende impegnate nella ricerca in questo settore, seguito da una tavola rotonda con le Istituzioni.“La soluzione è in un cambiamento di prospettiva che porti a considerare questa spesa come un investimento e non come un costo – ha spiegato Americo Cicchetti, professore ordinario Organizzazione Aziendale Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore ALTEMS -. Le Terapie Avanzate, infatti, offrono benefici non solo nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo. Non solo per la salute e il benessere delle persone, ma anche in termini di risparmi diretti ed indiretti: nel caso di terapie curative, si assiste ad un miglioramento radicale della storia naturale della malattia con la completa eliminazione di terapie e cure che spesso si prolungherebbero per l’intera esistenza della persona. All’impatto sulla salute si aggiunge un altrettanto importante impatto sulla qualità della vita e sulla produttività sul lavoro. Quest’ultimo impatto riguarda anche caregivers avranno la possibilità di lavorare a tempo pieno e, proprio come quelli che un tempo erano pazienti, potranno ricominciare a produrre reddito, con vantaggi a cascata per il gettito fiscale e il sistema pensionistico”.
Fonte: Askanews.it
Metanalisi su 184.389 persone arruolate in 9 studi indipendenti.
L’uso degli erbicidi è stato trovato associato ad un aumento dell’85% il rischio melanoma, a prescindere dal tipo di esposizione. A lanciare l’allarme è l’Intergruppo Melanoma Italiano (IMI) che ha condotto una metanalisi su 184.389 persone arruolate in 9 studi indipendenti sul rischio di tumore della pelle. Scopo della ricerca: individuare un possibile collegamento tra il melanoma e l’esposizione ai pesticidi ed indagare l’eventuale classe di pesticidi maggiormente implicati. Visti i preoccupanti dati preliminari emersi, l’Associazione scientifica non-profit lancia un appello al mondo della ricerca sollecitando nuove indagini che valutino in maniera più mirata la correlazione.
Ad oggi il melanoma ha una incidenza in costante aumento, soprattutto per quanto riguarda quelli sottili, ossia quelli nella prima fase di sviluppo. “Ma se da un lato le persone si controllano di più, facendo registrare un l’incremento dei casi – spiega il presidente IMI, Ignazio Stanganelli, direttore della Skin Cancer Unit IRCCS IRST Romagna Cancer Institute – i numeri sono comunque troppo elevati per essere spiegati con una maggiore attenzione alla diagnosi precoce e i fattori di rischio ambientale attualmente noti”.Alcune sostanze chimiche sono già nelle liste nere perché cancerogene. L’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha stilato una lista di pesticidi che negli anni si sono dimostrati alla base dell’insorgenza di diverse forme di tumori maligni come quelli del sangue, del colon, della prostata. Questo è stato il motivo che ha portato ad analizzare anche il rischio tra tumori della pelle e l’esposizione a pesticidi, insetticidi ed erbicidi. È stata così condotta una revisione delle ricerche scientifiche fino a settembre 2018. Dallo studio, pubblicato su Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology (JEADV), è emersa una chiara correlazione tra l’uso di qualsiasi tipo di erbicidi e l’incidenza del melanoma indipendentemente dal tipo di esposizione.“Qualunque uso di erbicidi – sottolinea Sara Gandini, direttrice dell’unità “Molecular and Pharmaco-Epidemiology” dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano – sembra associato ad un aumentato rischio di melanoma cutaneo con un SRR (Summary Relative Risk) di 1.85 indipendentemente dal tipo di esposizione, che corrisponde ad un 85% di rischio in più rispetto a chi non li usa. Questo risulto però andrà confermato da ulteriori studi che tengano presenti di tutte le possibili fonti di distorsione come ad esempio la quantificazione dell’esposizione solare”. Al contrario, non sembra esserci un aumento del rischio di questa forma di tumore della pelle e l’utilizzo di pesticidi o insetticidi. Le categorie più esposte sono agricoltori, vivaisti, appassionati di giardinaggio, tutti coloro che utilizzano questi prodotti per professione o nel tempo libero. Di qui l’auspicio della messa a punto di un sistema di sorveglianza e di prevenzione rivolta ai lavoratori esposti a pesticidi, erbicidi e insetticidi affinché siano posti dei programmi di prevenzione sanitaria, d’informazione professionale e di regolamentazione per l’uso di queste sostanze potenzialmente nocive. “Sono necessari ulteriori studi – conclude Stanganelli – che possano chiarire la correlazione tra fattori ambientali e alcune sostanze chimiche in relazione all’aumento dell’incidenza del melanoma”.
Fonte: Askanews.it
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